La flessibilità necessaria al business digitale implica il ricorso a nuovi modelli architetturali per infrastrutture e applicazioni.
L’hybrid cloud per la costruzione dei moderni data center e l’approccio cloud native per lo sviluppo software si rivelano un binomio vincente in un contesto che richiede efficienza e versatilità senza compromessi.
Hybrid cloud per ambienti affidabili e flessibili
L’integrazione di cloud pubblici e privati è la risposta ottimale per tutte le organizzazioni che devono aggiungere rapidamente risorse e servizi al Ced aziendale, risparmiando sull’acquisto e la gestione dei nuovi asset. I sistemi informativi interni vengono modernizzati in ottica as-a-service (cloud privato), mentre nuove applicazioni e tecnologie vengono fruite off-premise, direttamente dal data center del fornitore e in modalità condivisa con altri clienti (cloud pubblico).
La distinzione tra cloud pubblico e privato, tuttavia, oggi assume confini meno definiti. Esistono anche forme di hosted private cloud per cui le aziende dispongono di un cloud privato (esclusivamente dedicata e con accesso isolato) sulle infrastrutture del provider, e situazioni dove il fornitore implementa e gestisce servizi cloud all’interno del data center del cliente.
L’ascesa del cloud tra cloud pubblici e privati
Oggi la tendenza è costruire ecosistemi IT eterogenei e multicloud, che combinando le proposte di diversi fornitori. In Italia, secondo le stime del Politecnico di Milano, le soluzioni public e hybrid hanno raggiunto un fatturato 2019 pari a 1,56 miliardi di euro (+25% rispetto all’anno precedente), giocando la parte del leone in un mercato del cloud, che vale complessivamente 2,77 miliardi di euro e ha registrato un crescita complessiva del 18%.
A livello mondiale, Gartner invece ha previsto una incremento della spesa in servizi di public cloud da 182,4 a 331,2 miliardi di dollari nel quinquennio 2018-2022. L’analista dichiara che il cloud privato, nell’accezione più pura del termine, con le risorse IT installate in casa, verrà comunque mantenuto per specifici use case, per soddisfare le esigenze particolari delle unità di business e qualora le soluzioni pubbliche risultassero inadeguate o inefficienti. Tuttavia, entro il 2020, soltanto il 5% dei workload girerà su infrastrutture in-house.
Tale ascesa è confermata anche dalla news annunciata da Amazon Web Services a fine 2019, circa l’apertura da parte del colosso di una regione infrastrutturale in Italia ad inizio 2020, precisamente a Milano. Anche Google Cloud ha comunicato a fine 2019 di aver siglato con TIM una partnership strategica per l’erogazione di servizi Cloud ed Edge Computing e per ampliare l’offerta tecnologica nel mercato italiano con innovativi servizi di Public, Private e Hybrid Cloud.
Le applicazioni cloud native su hybrid cloud
Obiettivo fondamentale del cloud ibrido è consentire il dispiegamento rapido di asset aggiuntivi e lo spostamento agile dei carichi di lavoro tra i diversi ambienti.
Al fine di garantire la flessibilità di funzionamento e la migrazione delle applicazioni da un cloud all’altro, si rende necessario un cambio di passo nelle metodologie di sviluppo software, sposando l’approccio cloud-native.
Le applicazioni vengono di fatto concepite con un’architettura simile e adatta alle moderne infrastrutture cloud, componendosi di “mattoncini elementari” a basso accoppiamento ( i microservizi) che possono essere combinati rapidamente tra loro.
Grazie alla struttura modulare e all’indipendenza dei microservizi rispetto all’hardware sottostante, le stesse applicazioni girano indistintamente all’interno di ambienti eterogenei, privati e pubblici, garantendo la massima portabilità, un’esperienza unificata di sviluppo, pari logiche di funzionamento e livelli di performance.
L’orchestrazione delle risorse e dei processi all’interno delle “nuvole” ibride potrà quindi essere eseguita da una piattaforma centralizzata di gestione, che permette di richiamare gli asset e movimentare i workload con un alto grado di efficienza.
DevOps per lo sviluppo collaborativo
La natura stessa delle applicazioni cloud-native permette, inoltre, di abilitare nuove forme di collaborazione tra sviluppatori e utenti aziendali, conferendo ulteriore agilità all’impianto informativo.
Si tratta, infatti, di adottare la metodologia DevOps, che favorisce un’attività sinergica di developers e operations: ogni applicazione può essere progettata e migliorata agendo sulle singole funzionalità, grazie all’utilizzo dei container (ovvero tecnologie che includono i microservizi e un sistema di runtime completo).
L’IT può quindi rispondere con maggiore prontezza e proattività alle richieste del business, intervenendo sulle singole funzioni, senza compromettere l’applicazione e testando di volta in volta le modifiche.
Insomma, la nuova digital enterprise è tesa a conseguire ulteriori livelli di flessibilità ed efficienza su più livelli: partendo dall’ammodernamento delle infrastrutture concepite in ottica ibrida, intervenendo sulla struttura applicativa con l’approccio cloud-native e culminando con la revisione dei modelli organizzativi con le metodologie DevOps.